"Cara
radio" comincia la letterina, "sono una bambina ebrea...".
Mia madre legge e con un gran gesto come di teatro comincia a
strappare il foglio scritto in pezzi sempre più piccoli. (...) Mamma
non sembra arrabbiata, anzi, è quasi allegra e butta i pezzi del mio
lavoro in aria come se fossero coriandoli di carnevale. La guardo
irosa e offesa. Anche mamma mi guarda, ma con una specie di ilare
indulgenza: "Non sei una bambina ebrea, hai capito? Hai capito?
Sei una bambina. Una bambina e basta".
Corriere della Sera - 11 novembre 1938 |
Questo
libriccino, dal titolo potente e di poco più di cento pagine,
racconta uno dei momenti più bui e vergognosi della nostra storia,
l'introduzione nel 1938 delle indegne leggi razziali. La voce
narrante è quella dell'autrice Lia Levi, che si fa piccola e ritorna
la bambina che fu per raccontare, con candore e tenerezza, le
terribili conseguenze di quelle norme insensate: la cacciata da
scuola, la disoccupazione del padre, il trasferimento a Roma, la
perdita di ogni elementare diritto, fino alla ricerca di un rifugio
in cui nascondersi, concretizzatosi poi in un convento cattolico. Il
pensiero corre subito ad un'altra ragazzina, anch'essa nascosta in
quegli anni, anch'essa derubata della sua giovinezza, Anna Frank, che
purtroppo ebbe un destino ben diverso e meno fortunato. Non c'è in
questo libro l'angoscia che si prova leggendo il diario di Anna, dove
la sua triste fine è sempre ben presente nella mente del lettore,
eppure è impossibile non avvertire anche fra queste pagine un senso
di smarrimento e di inquietudine penetrante. Gli occhi puri della
bambina Lia vedono e raccontano tutto, pur comprendendo poco, e
questo punto di vista "dal basso", innocente e
interrogativo, acuisce l'indignazione del lettore adulto. Sono
trascorsi oltre settant'anni, le leggi razziali sembrano un ricordo
così lontano. Per non dimenticarle, hanno dovuto istituire una
"Giornata della memoria", visto che il rischio dell'oblio e
della sotto-considerazione è sempre dietro l'angolo. Il libro di Lia
Levi non è solo un modo per dire "è successo questo", è
anche uno spunto per chiederci "siamo davvero sicuri che non
succeda anche oggi?". E' così difficile spogliare la parola
bambino di ogni aggettivo: ci sono ovunque bambini extra-comunitari,
bambini rom, bambini neri, bambini cinesi e non so quanti altre
"tipologie" di bimbi, così come nel 1938 c'erano i bambini
ebrei, mentre dovrebbero esserci soltanto bambini: bambini e basta.
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