"Non
c'è più nessuno da accusare e condannare. Jack lo Squartatore e
coloro che lo conoscevano sono morti da decenni, ma i delitti non
vanno in prescrizione e le vittime dello Squartatore meritano
giustizia".
D'estate
la lettura di un giallo, almeno per me, è una tradizione
consolidata. Da tempo avevo adocchiato un libro di Patricia Cornwell
dedicato a Jack lo Squartatore, probabilmente il "cold case"
più famoso della storia. Per chi non lo sapesse o non seguisse il
noto telefilm, un cold case è un caso irrisolto, "raffreddato",
in genere un omicidio rimasto senza colpevole. Come appunto gli omicidi seriali di Jack lo squartatore. A distanza di 125 anni
dal 1888, anno in cui, fra agosto e novembre, si concentrarono i
cinque delitti perpetrati nottetempo nel quartiere londinese di
Whitechapel, nessuno è riuscito ancora ad attribuire un volto e un
nome all'autore di quegli orrendi femminicidi. La violenza e la
crudeltà dei delitti di Jack lo Squartatore sfuma oggi un po' nella
leggenda e un po' nel bussiness, due aspetti perfettamente
sintetizzati nei tour guidati attraverso le viuzze di Whitechapel,
durante i quali, per una manciata di sterline, si possono
ripercorrere a cuore spensierato le orme dello spietato serial
killer.
Patricia
Cornwell, scrittrice americana, "madre" della detective Kay
Scarpetta le cui avventure a sfondo giallo animano una ventina di
best sellers, non la pensa affatto così: i morti non possono
diventare fenomeni da baraccone e meritano sempre giustizia, anche
dopo anni, anche dopo secoli. E' questa la spinta che c'è dietro
"Ritratto di un assassino", in cui Patricia Cornwell
sintetizza anni di ricerche e di studi che l'avrebbero portata ad
identificare Jack lo Squartatore nel pittore inglese Walter Richard
Sickert.
Caso
chiuso, come proclama il sottotitolo in copertina? Il punto di
domanda è d'obbligo. Perché è vero che tutto torna, ma torna,
forse, un po' troppo: qualche forzatura, molte supposizioni e
un paio di illazioni, come quelle che vorrebbero il pittore Sickert
traumatizzato da una serie di operazioni subite in tenera età e
dalla freddezza emotiva della famiglia di origine, traumi che
sarebbero la radice di tutto il male commesso. Pertanto, anche se
Patricia Cornwell alla fine di 375 pagine canta trionfalmente
vittoria ("L'abbiamo preso, ragazzi!"), a ben guardare non
è proprio così. Ma allora perché leggere questo libro, invece di
gettarlo dalla finestra come le fantasie di un ciarlatano?
Secondo
me per due ragioni. La prima, perché Patricia Cornwell merita
l'onore delle armi: ha dedicato anni a raccogliere prove, ha speso
una piccola fortuna per acquistare documenti di varia natura, ma,
soprattutto, ha cercato di risolvere il "caso" come se
fosse una vera e propria indagine, sfruttando la sua esperienza, il
suo intuito, il suo talento e le sue capacità deduttive.
Il
secondo motivo per cui questo libro merita di essere letto, è per
l'accuratezza nella ricostruzione della vita nell'Inghilterra
vittoriana. Non la vita dei borghesi o quella di corte, ma la vita
dei più umili, quelli su cui Jack lo Squartatore si scagliava e che affollavano Whitechapel. Le povere donne vittime del serial
killer, erano prima ancora vittime della povertà. Costrette a
prostituirsi dalla miseria in cui versavano, dedite all'alcool per
sfuggire da una realtà senza futuro. Il ruolo della donna nell'età
vittoriana, indipendentemente dall'estrazione sociale, era, per usare
un eufemismo, ornamentale. Ancora più cupa, poi, era la condizione
di quelle donne che Patricia Cornwell definisce le "sventurate
di Londra". La morale dell'epoca, che confinava la donna e
l'attività sessuale all'interno del matrimonio, vedeva le prostitute
come donne che sceglievano liberamente questo tipo di vita, delle
"viziose" senza speranza, delle peccatrici della peggiore
specie. Ma percorrere le strade buie, gelide e sporche di
Whitechapel, alla ricerca disperata di clienti, era il solo modo per
non morire di fame, per tutte coloro che non potevano contare sul
salario di un uomo. I miseri guadagni venivano poi investiti
nell'alcool, facendo scivolare sempre più in basso le poverette, in
una spirale senza fine di giornate passate a vagabondare, alla
ricerca un riparo per dormire e di un po' di cibo.
Patricia
Cornwell ci conduce pagina dopo pagina nei dormitori pubblici, nelle
case di lavoro, negli ospedali per i poveri; ci illustra il lavoro e
i mezzi limitati di cui disponevano i poliziotti e gli investigatori
di Scotland Yard, in un'epoca in cui si faceva ricorso, per
l'identificazione dei criminali, all'antropometria e alla
fisiognomica, non certo ad impronte digitali e DNA; ricostruisce i
primordi della medicina legale, ai quei tempi ancora priva sia di
solide conoscenze scientifiche che di tecniche affidabili; ci
introduce nell'affascinante mondo delle scienze forensi, svelandone
metodologie e piccoli segreti. Un libro da esplorare, quindi, non tanto
per la ricerca di un assassino, la cui identità continua a restare
ammantata nel mistero, quanto per la ricostruzione di un mondo e di
un'epoca, quella vittoriana, che molto incuriosisce, che è parte
indiscussa del fascino di Londra e che Patricia Cornwell ha saputo
magistralmente documentare.
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