domenica 14 luglio 2013

Ritratto di un assassino. Jack lo Squartatore: caso chiuso?


"Non c'è più nessuno da accusare e condannare. Jack lo Squartatore e coloro che lo conoscevano sono morti da decenni, ma i delitti non vanno in prescrizione e le vittime dello Squartatore meritano giustizia".


D'estate la lettura di un giallo, almeno per me, è una tradizione consolidata. Da tempo avevo adocchiato un libro di Patricia Cornwell dedicato a Jack lo Squartatore, probabilmente il "cold case" più famoso della storia. Per chi non lo sapesse o non seguisse il noto telefilm, un cold case è un caso irrisolto, "raffreddato", in genere un omicidio rimasto senza colpevole. Come appunto gli omicidi seriali di Jack lo squartatore. A distanza di 125 anni dal 1888, anno in cui, fra agosto e novembre, si concentrarono i cinque delitti perpetrati nottetempo nel quartiere londinese di Whitechapel, nessuno è riuscito ancora ad attribuire un volto e un nome all'autore di quegli orrendi femminicidi. La violenza e la crudeltà dei delitti di Jack lo Squartatore sfuma oggi un po' nella leggenda e un po' nel bussiness, due aspetti perfettamente sintetizzati nei tour guidati attraverso le viuzze di Whitechapel, durante i quali, per una manciata di sterline, si possono ripercorrere a cuore spensierato le orme dello spietato serial killer.

Patricia Cornwell, scrittrice americana, "madre" della detective Kay Scarpetta le cui avventure a sfondo giallo animano una ventina di best sellers, non la pensa affatto così: i morti non possono diventare fenomeni da baraccone e meritano sempre giustizia, anche dopo anni, anche dopo secoli. E' questa la spinta che c'è dietro "Ritratto di un assassino", in cui Patricia Cornwell sintetizza anni di ricerche e di studi che l'avrebbero portata ad identificare Jack lo Squartatore nel pittore inglese Walter Richard Sickert.

Caso chiuso, come proclama il sottotitolo in copertina? Il punto di domanda è d'obbligo. Perché è vero che tutto torna, ma torna, forse, un po' troppo: qualche forzatura, molte supposizioni e un paio di illazioni, come quelle che vorrebbero il pittore Sickert traumatizzato da una serie di operazioni subite in tenera età e dalla freddezza emotiva della famiglia di origine, traumi che sarebbero la radice di tutto il male commesso. Pertanto, anche se Patricia Cornwell alla fine di 375 pagine canta trionfalmente vittoria ("L'abbiamo preso, ragazzi!"), a ben guardare non è proprio così. Ma allora perché leggere questo libro, invece di gettarlo dalla finestra come le fantasie di un ciarlatano?

Secondo me per due ragioni. La prima, perché Patricia Cornwell merita l'onore delle armi: ha dedicato anni a raccogliere prove, ha speso una piccola fortuna per acquistare documenti di varia natura, ma, soprattutto, ha cercato di risolvere il "caso" come se fosse una vera e propria indagine, sfruttando la sua esperienza, il suo intuito, il suo talento e le sue capacità deduttive.

Il secondo motivo per cui questo libro merita di essere letto, è per l'accuratezza nella ricostruzione della vita nell'Inghilterra vittoriana. Non la vita dei borghesi o quella di corte, ma la vita dei più umili, quelli su cui Jack lo Squartatore si scagliava e che affollavano  Whitechapel. Le povere donne vittime del serial killer, erano prima ancora vittime della povertà. Costrette a prostituirsi dalla miseria in cui versavano, dedite all'alcool per sfuggire da una realtà senza futuro. Il ruolo della donna nell'età vittoriana, indipendentemente dall'estrazione sociale, era, per usare un eufemismo, ornamentale. Ancora più cupa, poi, era la condizione di quelle donne che Patricia Cornwell definisce le "sventurate di Londra". La morale dell'epoca, che confinava la donna e l'attività sessuale all'interno del matrimonio, vedeva le prostitute come donne che sceglievano liberamente questo tipo di vita, delle "viziose" senza speranza, delle peccatrici della peggiore specie. Ma percorrere le strade buie, gelide e sporche di Whitechapel, alla ricerca disperata di clienti, era il solo modo per non morire di fame, per tutte coloro che non potevano contare sul salario di un uomo. I miseri guadagni venivano poi investiti nell'alcool, facendo scivolare sempre più in basso le poverette, in una spirale senza fine di giornate passate a vagabondare, alla ricerca un riparo per dormire e di un po' di cibo.

Patricia Cornwell ci conduce pagina dopo pagina nei dormitori pubblici, nelle case di lavoro, negli ospedali per i poveri; ci illustra il lavoro e i mezzi limitati di cui disponevano i poliziotti e gli investigatori di Scotland Yard, in un'epoca in cui si faceva ricorso, per l'identificazione dei criminali, all'antropometria e alla fisiognomica, non certo ad impronte digitali e DNA; ricostruisce i primordi della medicina legale, ai quei tempi ancora priva sia di solide conoscenze scientifiche che di tecniche affidabili; ci introduce nell'affascinante mondo delle scienze forensi, svelandone metodologie e piccoli segreti. Un libro da esplorare, quindi, non tanto per la ricerca di un assassino, la cui identità continua a restare ammantata nel mistero, quanto per la ricostruzione di un mondo e di un'epoca, quella vittoriana, che molto incuriosisce, che è parte indiscussa del fascino di Londra e che Patricia Cornwell ha saputo magistralmente documentare.

Nessun commento:

Posta un commento