lunedì 22 luglio 2013

La storia di una bottega: il coraggio di quattro sorelle (e di una casa editrice)


Gertrude, che camminava su e giù per la stanza, si fermò tutto a un tratto e disse: "Prendiamo qualche buona decisione!".
"Sì," gridò Phyllis con la sua usuale schiettezza; "lastrichiamo un po' la strada per l'inferno!".
"Primo, non saremo ciniche."
La mozione fu approvata all'unanimità.
"Secondo, saremo felici!"
Questa mozione venne approvata con entusiasmo anche maggiore della precedente.
"Terzo," propose Phyllis, pronunciando le parole con finto pathos, "terzo, non diremo mai e poi mai che abbiamo visto giorni migliori!"
Così, con i visi sorridenti, si alzarono in piedi e sfidarono il Destino.


La fotografia in copertina è molto bella. Al centro, una donna ritratta di spalle cammina lungo una strada, diretta chissà dove. Mi colpiscono due cose: il fatto che sia da sola (e all'epoca in cui è stata ripresa l'immagine non doveva essere così consueto) e il passo svelto (lo si intuisce dalla mano, salda sulla tesa del cappello, che nella foga potrebbe volarle via). Intorno la città, quale non lo sappiamo, sicuramente una metropoli, come si intuisce dalla strada lunga, ben tenuta e costeggiata dai lampioni e da una serie di edifici, sfumati sullo sfondo, che lasciano trapelare il fervore cittadino.

Confesso di avere scelto questo libro, acquistato alla Libreria delle Donne di Bologna (potete leggere qui la mia scoperta di questo posto incantevole) principalmente per la copertina, anche se questo (lo sanno tutti!) non dovrebbe essere un criterio trainante di scelta. L'altra cosa che mi ha invogliata deve essere stato una specie di transfert, un sottile richiamo a quella che considero uno dei personaggi che più hanno ispirato la mia vita. Parlo di Jo March (qui potete leggere dell'amore incondizionato che provo per lei), nome che in copertina troneggia sotto il titolo ed è quello della casa editrice. Infine l'autrice, Amy Levy, un nome che non riecheggiava nella mia memoria e non conoscevo. Ce n'era abbastanza per essere incuriosita e saperne di più.

Andiamo con ordine. Jo March è un'agenzia letteraria ed una casa editrice, ma innanzitutto un progetto, originale, coraggioso e culturalmente "alto" (oltre che radicato nella regione in cui sono nata e vivo, l'Umbria), che si prefigge di riportare alla luce, tradurre e dare alle stampe piccoli capolavori dimenticati, spesso mai apparsi in edizione italiana, ma che meritano di essere scoperti e amati, quanto altri classici immortali.

"La storia di una bottega" è uno di questi. La produzione ottocentesca di romanzi inglesi è molto ampia e ricca di autori che non sono "sopravvissuti" alla prova del tempo, o perché epigoni di predecessori ben più importanti o perché, semplicemente, non hanno trovato qualcuno disposto ad investire su di loro, offrirli al lettore italiano, insieme a chiavi di interpretazione e riflessione. Amy Levy è una di queste scrittrici, ingiustamente mai tradotta in Italia, prima che la Jo March decidesse di farne il secondo gioiello di una collana dal titolo emblematico, Atlantide, come l'isola perduta, sprofondata nel mare, cui questi libri metaforicamente somigliano.

Consiglio di leggere questo libro subito dopo uno dei romanzi di Jane Austen, come "Orgoglio e pregiudizio" (qui il link al post dove ne parlo) o "Ragione e sentimento". Non per fare paragoni (anche se l'ironia e l'introspezione psicologiche sono due felici qualità che accomunano le autrici), o peggio "classifiche" fra le due signore, ma per compiere un percorso ideale, un viaggio meraviglioso che segua l'evoluzione della condizione femminile lungo l'Ottocento. Jane Austen ci apre la porta del salotto, delle stanze da ballo, delle verande; Amy Levy quella di una bottega, un laboratorio, lo chiameremmo oggi, di fotografia. Le eroine di Jane passeggiano lungo sentieri di sconfinate tenute della campagna inglese e questa sembra essere la loro principale occupazione; quelle di Amy, si muovono affaccendate lungo le strade affollate di Londra e devono lavorare per vivere. Siamo in due momenti storici diversi, l'inizio e la fine di un secolo, e diversa è anche la donna che si è spostata dagli spazi privati e domestici, in quelli pubblici e lavorativi. Amy Levy delinea qui una "bozza" di quella "new woman", che negli anni a venire avrà uno sviluppo più marcatamente femminista.

Amy Levy sceglie di mettere in scena un quartetto di sorelle (Gertrude, Lucy, Phyllis e Fanny) che, rimaste orfane e finanziariamente dissestate, devono trovare un modo per restare a galla nel mare della vita. Respinte al mittente tutte le offerte di "protezione" di parenti e amici, scartata l'idea di lavori femminili ma poco remunerativi, come l'insegnamento o la scrittura, decidono di intraprendere un'avventura commerciale sfidando i pareri contrari di tutti e le convenzioni della società dell'epoca. Il lavoro scelto è quello di fotografe, un mestiere emergente (anche se non certamente fra le donne!) cui le quattro sorelle si dedicheranno non senza poche difficoltà. Molto interessante, a mio parere, è la storia di come la bottega prende vita: dapprima solo un sogno nella testa della volitiva Gertrude; poi un progetto concreto che passa attraverso i momenti fondamentali della formazione (Lucy che intraprende un apprendistato di tre mesi presso un affermato fotografo amico), della ricerca di un locale in affitto, delle spese oculate per far quadrare il bilancio, del duro lavoro per dimostrare di essere brave come e più dei colleghi uomini, della difficoltà ad essere retribuite quanto loro (che tema attuale!).

Certo, il finale non è esattamente "rivoluzionario" (non lo svelo, perché non voglio anticipare altro, se qualcuno fosse curioso di leggere il libro), ma non è questo che conta, è tutto ciò che viene prima, e che porta alla conclusione felice, il nocciolo del libro e, direi, la sua bellezza. Per rispondere alla domanda che Silvana Colella pone nell'ottima introduzione al libro – "perché leggere oggi questa storia"- la risposta è: perché le sorelle Lorimer sono delle pioniere del coraggio e della sfida, che in tempi avversi hanno saputo far ricorso alle loro migliori risorse e che possono, ancora oggi, anni di crisi e di sfiducia nel futuro, essere fonte di ispirazione per tutte noi; per non cedere mai allo sconforto nei momenti meno prosperi; per prendere anche noi, come loro, la ferma decisione di non essere ciniche e di essere autenticamente felici.

2 commenti:

  1. Della stessa casa editrice di Amy Levy consiglio "Nord e Sud". Margaret Hale è un'altra piccola grande donna, come la sua autrice Elizabeth Gaskell. E la consiglierei al lettore "maschilista" che ha ispirato il titolo del blog, per il modo magistrale in cui sa entrare nella mente dei personaggi anche maschili, specialmente John Thornton...

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  2. Grazie per la segnalazione, sono certa che anche "Nord e Sud" sarà un'altra piacevole scoperta! Torna a trovarmi prossimamente, ne parlerò di sicuro. Un caro saluto

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