martedì 21 agosto 2012

Orgoglio e pregiudizio: scrivere nella stanza di passaggio




"E' verità universalmente riconosciuta che uno scapolo provvisto di un ingente patrimonio debba essere in cerca di moglie"


Virginia Woolf teorizzava che la condizione essenziale per la scrittura fosse l'avere "una stanza tutta per sé". Jane Austen non l'ebbe mai: la sua era piuttosto una stanza di passaggio. Scriveva infatti nel soggiorno comune, dove non aveva una scrivania propria ma si era ritagliata un piccolo spazio sul tavolo da pranzo. Qui appoggiava minuscoli pezzetti di carta che nascondeva furtivamente all'arrivo delle persone di servizio o dei visitatori e che alla sua morte corsero perfino il rischio di essere buttati. Il soggiorno comune fu il luogo di formazione della scrittrice: "la sola educazione letteraria che una donna riceveva agli inizi dell'Ottocento era un'educazione allo studio del carattere, alla analisi delle emozioni. Da secoli la sua sensibilità veniva educata sotto l'influenza della stanza di soggiorno comune. I sentimenti delle persone rimanevano impressi su di lei; aveva costantemente sotto gli occhi i rapporti umani (Virginia Woolf - Una stanza tutta per sé)". L'andirivieni di uomini e donne di ogni tipo, le loro conversazioni, il fluire del tempo e della vita, tutto si concentrava e si dipanava nel salotto comune che divenne la principale fonte di ispirazione per l'acuta e ironica osservatrice Jane Austen. 

In questa atmosfera vide la luce "Prime impressioni", poi ribattezzato "Orgoglio e pregiudizio". Nel 1797, il padre di Jane lo propose ad un editore che cortesemente lo rifiutò, si dice senza neppure averne letto una riga. Fu pubblicato molti anni dopo, nel 1813, con il titolo che lo ha reso celebre e in forma rigorosamente anonima. L'intreccio è famoso, anche grazie alle innumerevoli versioni cinematografiche che ne sono state tratte: Elizabeth Bennet è la seconda di cinque sorelle tutte nubili e desiderose di sposarsi. Negli anni in cui è ambientata la storia, il matrimonio è un mezzo per l'ascesa sociale, un mero contratto, spesso combinato dalle famiglie. Elizabeth, però, non si accontenta di un uomo qualunque, giusto per non rimanere zitella. La nostra eroina vorrebbe sposare l'uomo che ama, proposito che agli occhi materni appare del tutto rivoluzionario, in quanto l'amore non è reputato il principale requisito per contrarre matrimonio.

Fra lo sgomento e la disperazione materna, Elizabeth rifiuta la proposta dell'arido e insopportabile cugino Mr. Collins ma anche quella dell'altezzoso Mr. Darcy, salvo poi pentirsi, quando scopre tutto ciò che quest'ultimo ha fatto per amor suo, compreso salvare la reputazione della sorella minore Kitty, fuggita con un ufficiale arrivista e ricattatore. Pentita di averlo giudicato troppo in fretta e con la mente offuscata dai pregiudizi, Elizabeth riesce a farsi perdonare ed infine a sposare Mr. Darcy. 

Probabilmente, così riassunto all'osso, il libro non sembra dei più avvincenti. In effetti non accade nulla di sconvolgente in tutto il romanzo: niente colpi di scena, niente intrecci complicati o storie fantasiose ai confini della realtà. Nei romanzi della Austen va di scena la quotidianità. La scrittrice è stata la prima ad aprire al lettore la porta di casa e a mostrargli cosa avveniva: conversazioni in famiglia, balli, pranzi, tranquille passeggiate, serate davanti al camino. La Storia, quella dei grandi avvenimenti, resta fuori dall'uscio. "Orgoglio e pregiudizio" è ambientato all'epoca delle guerre napoleoniche, eppure fra le pagine non risuonano mai i fragori delle battaglie, al più si scorge qualche reggimento di passaggio, il cui scopo sembra solo quello di far palpitare il cuore di giovani fanciulle in età da marito. I fatti che all'autrice interessano sono altri, quelli che si svolgono nelle tenute, nelle case, nelle stanze da ballo, nei giardini. Che poi sono i fatti che una donna vissuta a cavallo del sette-ottocento conosceva, non potendo intraprendere grandi viaggi o andare in guerra o avere la libertà e le variegate esperienze di vita concesse ad un uomo. La casa era, per una donna, tutto il suo mondo e, saggiamente, Jane Austen scrive di ciò che conosce. 

Per trentasei capitoli non accade nulla di clamoroso ma continuiamo a girare pagina, gustando ogni singolo personaggio e i suoi inconfondibili tratti caratteriali, così magistralmente dipinti. Non c'è sfumatura dell'animo umano che venga trascurata: la saggezza, la vanità, l'invidia, l'arrivismo, la bontà, la grettezza, la generosità. Jane Austen, seduta nell'angolo in salotto, osserva e scrive: non giudica, non fa la morale, non è saccente, piuttosto divertita, e il suo sguardo ironico si posa sui piccoli nobili e sui grandi borghesi per trasporli sulla pagina con lievità, con un linguaggio che Virginia Woolf definì "assolutamente naturale e armonioso". Buffo osservare che, sebbene tutte le sue eroine aspirino al matrimonio, Jane Austen non si sposò mai e non perchè non ne ebbe l'occasione. Era graziosa, sicuramente dalla conversazione interessante e sappiamo di alcuni corteggiatori. Mi piace pensare che Jane Austen fosse affascinata da ciò che precede il matrimonio (il corteggiamento, le traversie per arrivare a coronare un sogno) ma non dalla vita matrimoniale. Tutti i suoi romanzi si concludono sulla porta della chiesa e le coppie sposate sono il contorno, spesso buffo, talvolta monotono, ai protagonisti nubili e celibi. Forse Jane rifiutò il matrimonio per essere ciò che desiderava e proteggere la scrittrice che era in lei. I doveri matrimoniali e il ruolo di madre di una nidiata di bambini l'avrebbero per forza di cose impedito di scrivere. Concludo con un piccolo consiglio, per chi avesse già gustato il libro ma desidera calarsi nuovamente nell'atmosfera del romanzo: ascoltate l'audiolibro edito da Emons e letto da Paola Cortellesi. E' bravissima e capace di compiere magie con la voce. Dodici ore di ascolto che sono un puro piacere.

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